Comunità Energetiche Rinnovabili … la trappola degli incentivi …

 

Giovanni Velato, #OPEN_TO_WORK

Giovanni Velato 

 
Esperto Mobilità Integrata Sostenibile – Mobilità Elettrica diffusa
 

 

 

Nei miei ultimi commenti ai post che riguardano le #cer, spesso ho parlato della differenza, con quelle Austriache. Ho trovato sul tema un interessante documento elaborato da Team K Landtagsfraktion | Gruppo consiliare del SUD Tirolo https://api-idap.landtag-bz.org/doc/idap_683481.pdf la cui lettura consiglio vivamente.

Di seguito riporto i capitoli in cui le differenze emergono in modo chiaro

Come funziona una Cer in Italia

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Rossato Grup Cristina Vellucci

Per le comunità energetiche in Italia è stato adottato il seguente principio: da un lato acquistano l’energia da fornitori esterni con un relativo contratto; dall’altro immettono tutta l’energia prodotta in rete, ricavandone un corrispettivo fissato dalle regole di mercato o di ritiro dedicato (come se la comunità non esistesse, in sostanza). Alla comunità è però riconosciuto un incentivo di durata ventennale per l’energia scambiata al suo interno, cioè generata e consumata in contemporanea (con rilevazioni automatiche a intervalli di 15 minuti). Questa energia è incentivata con un contributo di € 0,11/kWh o € 0,10/kWh, se tutti i punti di generazione e consumo sono in un unico edificio. Gli incentivi sono corrisposti alla comunità una/due volte l’anno e la comunità decide come ripartirli tra i partecipanti.

In Italia a dicembre 2022 il kWh del servizio di tutela costava € 0,51; il contributo del ritiro dedicato (RID) nella zona di mercato Nord era € 0,368/kWh; l’ulteriore contributo alla comunità energetica, che si somma a quello del RID, è € 0,11/kWh. A queste condizioni ha senso da un punto di vista economico costituire una comunità, se i potenziali incentivi per l’energia scambiata sono superiori ai notevoli costi per la costituzione e la gestione della comunità.

Da un punto di vista macroeconomico, però, la situazione è più critica. Il contributo extra riconosciuto alla comunità viene sostenuto dagli “oneri di sistema” sulle bollette di tutti gli utenti del sistema elettrico. A giugno 2021 questi oneri pesavano sulla bolletta al consumo per € 0,041/kWh contro un prezzo dell’energia nel sistema tutelato di € 0,075 in fascia F1 e € 0,061 in fascia F23. Con l’aumentare del prezzo dell’energia, passata a € 0,12/kWh a luglio 2021, gli “oneri di sistema” sono stati temporaneamente sospesi come misura di contenimento delle bollette, ma ne è previsto il ripristino appena possibile. In alternativa, i costi aggiuntivi dovranno ricadere sulla fiscalità generale. Misure economicamente non sostenibili non possono però continuare all’infinito, come recentemente reso evidente dalla questione “Superbonus” e gli oneri di sistema sostenuti da tutti gli utenti elettrici dovranno essere quasi certamente rivisti.

E così, mentre un singolo utente con impianto fotovoltaico può utilizzare direttamente l’energia generata, ed immettere in rete eventuali eccedenze, compensate economicamente come ritiro dedicato, oppure può assorbere energia elettrica quando la generazione solare è insufficiente e pagare al suo fornitore il corrispettivo dovuto, purtroppo lo stesso schema non è applicabile per un condominio intero o per due o più unità abitative. Secondo le regole correnti si è obbligati in ogni caso ad acquistare tutta la propria energia dalla rete e pagarla secondo un contratto commerciale mentre i termini di vendita dell’energia autoprodotta sono fissati da un altro contratto. Oltre che a una penalizzazione economica, la necessità di compiere passi burocratici, in particolare la costituzione di una ragione sociale per la comunità, di fatto disincentiva la volontà di formazione della comunità energetica. Proporre incentivi per stimolare la formazione di comunità e lo scambio di energia è in parte indice del fatto che i metodi finora applicati non sono efficienti. Resta poco chiaro capire la ratio finale della normativa sulle comunità energetiche, e soprattutto la loro complessità.

Il modello austriaco per le Comunità energetiche

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https://www.paviraniassociati.it/

Abbiamo visto come funziona una Cer in Italia, un modello che purtroppo presenta diversi, rilevanti svantaggi. Non è così da altre parti. La pratica delle comunità energetiche in Austria è molto più semplice rispetto all’Italia. Le leggi principali di riferimento sono la legge sul sistema elettrico ElWOG (Elektrizitätswirtschafts- und -organisationsgesetz) e la legge sulle energie rinnovabili EAG (Erneuerbaren-Ausbau-Gesetz – EAG 2023). La legge austriaca riconosce solo un tipo di CER (Elektrische

Energiegemeinschaft, EEG) e di CEC (Bürgerenergiegemeinschaft, BEG). La CER riguarda solo energie rinnovabili, di tutti i tipi, ed è legata alla rete didistribuzione in bassa tensione fino alla barra comune di media tensione inuna centrale di trasformazione. La CEC opera con energia elettrica di qualsiasifonte e può estendersi sul territorio dell’intero paese, pagando i diritti di rete infunzione dei livelli di tensione.Una CER può comprendere impianti già esistenti e può quindi venire formata indipendentemente da nuovi investimenti. Come in Italia, il gestore della rete rileva consumi e produzioni a intervalli di 15 min e pone in relazione i dati relativi ai diversi contatori. A differenza dell’Italia, però, l’energia immessa in rete è direttamente sottratta da quella consumata nello stesso intervallo di tempo, che quindi non viene fatturata. Lo scorporo in bolletta, che in Italia non è previsto, è lo strumento principale delle Comunità Energetiche in Austria. La bolletta è alleggerita perché diminuiscono i kWh conteggiati e non a causa di interventi sulle altre componenti tariffarie o grazie a incentivi e sussidi. Infatti, in Austria non sono previsti incentivi per le comunità energetiche.

In sostanza, in Austria, partendo dalle stesse direttive UE, è in vigore una normativa che invece consente in sostanza la compensazione tra energia autoprodotta e consumata. Il cuore di questa mozione è proprio questo: cercare una via per importare il modello austriaco anche in Alto Adige, partendo da una ricognizione giuridica effettuata sulla fonte europea e le legislazioni nazionale e austriaca, cercando una strada percorribile da un punto di vista legale.

Da un punto di vista della convenienza economica, ai livelli attuali di costo dell’energia e di impianti di generazione, se l’energia generata in una comunità ha un costo inferiore a quella di fornitori esterni ha più senso usarla direttamente piuttosto che venderla e riacquistarla a prezzi differenti, anche se parte della differenza è coperta da incentivi.

Con una CER virtuale che funziona con il principio dell’autoconsumo e della compensazione in bolletta tra energia prodotta e acquistata, i costi da parte di imprese pubbliche, i gestori di rete, sono estremamente limitati: è richiesta un’amministrazione molto leggera e una minima modifica al programma di lettura a distanza e di verifica dei dati dei contatori. Tutta la responsabilità organizzativa e finanziaria delle comunità energetiche è lasciata ad esse. Paradossalmente, per un costo dell’energia superiore a € 0,11/kWh la comunità virtuale qui proposta, senza incentivi, è addirittura più conveniente per i suoi membri rispetto a quella nazionale, incentivata. Grazie alla semplicità dell’approccio vengono anche evitati costi esterni giuridici, di analisi e rispetto di norme farraginose, così come quelli di una doppia gestione dei dati di produzione e consumo. Il ruolo di fornitori di know-how terzi (tecnici, giuristi) è più contenuto e rivolto al funzionamento interno della comunità e non alla sua interazione con la pubblica amministrazione e con gli enti nazionali di gestione del sistema elettrico.

Anche da un punto di vista tecnologico l’implementazione del modello proposto sarebbe possibile. Le comunità energetiche si basano su un modello di funzionamento virtuale, tutti gli scambi di energia hanno luogo tramite la rete pubblica e sono sovrapposti a quelli di tutte le altre utenze. Ogni punto di generazione o consumo è monitorato da un contatore 2G che ogni 15 minuti legge e memorizza il valore dell’energia immessa o prelevata dalla rete3. Dalla differenza di immissioni e prelievi per tutti i punti di una comunità energetica risulta l’energia effettivamente scambiata. L’Italia ha probabilmente il più avanzato programma al mondo su larga scala di contatori elettronici con lettura dei dati e la possibilità di effettuare configurazioni a distanza. Questo strumento, già in funzione, facilita enormemente la costituzione e la gestione di comunità energetiche. Soluzioni anche complesse possono venire facilmente risolte con l’elaborazione di piccole quantità di dati.

Al Sistema Informativo Integrato (SII) che rileva tutti i dati dei contatori su scala nazionale non saranno trasmessi dati sul consumo totale dei membri di una comunità ma solo quelli sui consumi netti, da fatturare. A differenza dal modello attualmente in vigore in Italia, lo scambio di energia non verrebbe più incentivato, e non sarebbe nemmeno necessario, perché tramite la compensazione tra energia prodotta ed energia consumata, la bolletta risulterebbe alleggerita dal momento che diminuiscono i kWh conteggiati, a tutto vantaggio del consumatore.

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Piano di Mobilità Integrata Sostenibile per Mobilità Elettrica di MASSA

Nel 2015, quando lavoravo in Enel Group ho commesso l’errore  di fidarmi di ciò che dicevano  i comunicati interni a proposito della partecipazione  dei dipendenti, alla  realizzazione di nuovi progetti per la mobilità elettrica, ma stupidamente  avevo dimenticato, che le grandi aziende, vogliono solo progetti in linea con quanto stabilito dalla leadership. In realtà  una cosa legittima e scontata, ma dovendo affrontare un tema relativamente  nuovo, si era cominciato a parlare di #emobility , dal 2012, ho pensato di  mettere  in campo, tutte le conoscenze e competenze, acquisite sino a quel momento. Il risultato sono stati i Piani di Mobilità Integrata Sostenibile, un modello nuovo di mobilità, basato sull’utopia di rendere totalmente elettrico il sistema dei trasporti, facendo mie le parole di Remo Bodei

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In questo articolo non entrerò nei dettagli, tecnici, commerciali e progettuali, perché voglio ancora sperare che ci sia qualcuno che posa condividere questo sogno.

Mi limiterò quindi allo schema di sintesi,

che tante volte è apparso e che è comunque protocollato o registrato con email, presso numerosi soggetti pubblici e privati.

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e a uno schema di principio del percorso Home To Home – fonte Università di Roma Tor Vergata

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Mi sono chiesto molte volte in questi 10 anni, se non fosse, nonostante l’approfondito lavoro, un puro esercizio della fantasia, ma sopratutto se non fossi andato fuori tema.

Oggi ho avuto la conferma che tutto è molto attuale. Ho semplicemente chiesto alla AI

Puoi definirmi un modello di mobilità completamente elettrico, basato su treni, metropolitane, tram, filobus, auto elettriche, moto elettriche e bici elettriche?

E questa è stata la risposta

Questo modello si propone di creare un sistema di trasporto urbano e interurbano sostenibile, efficiente e integrato.

Principi Fondamentali:

  • Elettrificazione Totale: Tutti i veicoli, pubblici e privati, sono alimentati da energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili.
  • Integrazione e Intermodalità: I diversi mezzi di trasporto sono coordinati tra loro per offrire soluzioni di viaggio “porta a porta” senza soluzione di continuità. L’utente può passare facilmente da un mezzo all’altro (es. dal treno alla metro, dalla metro alla bici elettrica) tramite un’unica piattaforma di ticketing e informazione.
  • Digitalizzazione e Dati: L’intero sistema è gestito tramite piattaforme digitali che ottimizzano i flussi, forniscono informazioni in tempo reale e permettono la personalizzazione dei percorsi.
  • Infrastrutture Intelligenti: La rete di ricarica per i veicoli privati è diffusa e integrata con l’illuminazione pubblica e altri servizi urbani. Le strade sono dotate di sensori per monitorare il traffico e ottimizzare i flussi.

Componenti del Modello:

  • Trasporto Pubblico su Ferro:
  • Trasporto Pubblico su Gomma:
  • Mobilità Individuale e Condivisa:

Infrastrutture e Servizi:

  • Piattaforma Digitale Unica: Un’unica app o sistema online che permette di pianificare il viaggio, acquistare i biglietti per tutti i mezzi, localizzare i veicoli a noleggio, prenotare la ricarica per l’auto privata e accedere a servizi di mobilità on-demand.
  • Hub di Mobilità: Aree strategiche (es. stazioni ferroviarie, parcheggi di interscambio) dove è possibile passare agevolmente da un mezzo all’altro. Questi hub offrono anche servizi come stazioni di ricarica, noleggio bici e veicoli elettrici.
  • Smart Grid: La rete elettrica è “intelligente” e in grado di gestire i flussi di energia in modo efficiente, ottimizzando la ricarica dei veicoli e integrando le fonti rinnovabili.

In sintesi, un modello di mobilità completamente elettrico si basa su un approccio olistico che combina l’elettrificazione di tutti i mezzi con l’integrazione dei servizi e lo sviluppo di infrastrutture intelligenti.

Ho ritrovato molto di quello che c’è nei PIANI di MOBILITA’ INTEGRATA SOSTENIBILE del 2015 … ma fortunatamente non tutto.

Ad esempio

LaPiattaforma Digitale Unica nei piani è il progetto 1F – Piattaforma IOT di tipo [U(m)2X]

Gli Hub di Mobilità non sono alto che “Una nuova Stazione per la Mobilità Elettrica” https://www.linkedin.com/pulse/una-nuova-stazione-per-la-mobilit%25C3%25A0-elettrica-giovanni-velato-6axxf/?trackingId=xh9CJPEeQsK61f0pLNz4AA%3D%3D

Per completezza ho anche chiesto ad altre AI cosa che potete fare autonomamente, ma la sostanza rimane sempre la stessa e anche i punti cardine.

Per una #decarbonizzazione dei #trasporti non si può prescindere da una struttura incentrata sulla rete ferroviaria e dall’energia proveniente da fonti #rinnovabili.

La partita si gioca sulla capacità di utilizzare al meglio questi due elementi … perché da 10 anni nulla è cambiato ..

Giovanni Velato

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L’Italia di mezzo – a cura di Arturo Lanzani

Chiunque  voglia  realmente , realizzare un progetto  di transizione ecologica, per il nostro paese, non può esimersi dal tener presente quanto riportato nel  libro “Italia di mezzo. Prospettive per la provincia in transizione”, curato da Arturo Lanzani ed edito da Donzelli.

Italia di Mezzo

Il libro

Il volume si concentra su una porzione di territorio italiano che l’autore definisce l’“Italia di mezzo”. Non si tratta di una zona geografica con confini rigidi (come il Centro Italia), ma piuttosto di una vasta e diversificata area che si estende in tutto il Paese, prevalentemente in zone provinciali, e che ospita oltre la metà della popolazione italiana. Questi territori sono “intermedi”, perché non sono né le grandi metropoli né le aree interne o i borghi marginali.

Il libro ha l’obiettivo di colmare un vuoto nel dibattito pubblico e politico, che tende a focalizzarsi quasi esclusivamente sulle grandi città o, all’opposto, sulle aree più remote e in declino, ignorando questa “Italia di mezzo” che, pur essendo fondamentale per la demografia e l’economia del Paese, rimane invisibile.

I temi principali affrontati sono:

  • Identità complessa e sfumata: L’Italia di mezzo è un’area dove i confini tra urbano e rurale, tra tradizione e innovazione, si confondono. È un tessuto territoriale fatto di città medie, piccole industrie, aree agricole e infrastrutture diffuse, che non si adatta alle categorie tradizionali.
  • Ruolo storico e attuale: La ricerca sottolinea come questa parte d’Italia abbia avuto un ruolo cruciale nella storia del Paese, agendo come elemento di stabilità e plasticità. Oggi, rappresenta una sfida fondamentale per la transizione socio-ecologica, che non può essere pensata solo a partire dalle metropoli.
  • Declino e sfide: Il libro analizza le difficoltà che questi territori stanno affrontando, tra cui la crisi di alcuni settori industriali, il lento declino del ceto medio e la mancanza di un’agenda politica dedicata. Nonostante il loro peso demografico ed elettorale, le province dell’Italia di mezzo sono spesso dimenticate dai programmi di sviluppo.
  • Proposte e futuro: Per rendere questi territori vitali e desiderabili, il volume propone di agire non solo con politiche economiche, ma anche e soprattutto con interventi mirati sulle infrastrutture quotidiane (scuole, case, biblioteche, trasporti), sulla riconversione ecologica delle economie locali e sulla valorizzazione dei loro paesaggi ordinari. L’obiettivo è creare un nuovo “patto” tra i territori, i cittadini e le istituzioni per affrontare le sfide del presente e del futuro.

In sintesi, il libro è una profonda analisi del ruolo e delle prospettive di una porzione di Italia spesso trascurata, proponendo nuove chiavi di lettura e soluzioni per valorizzare il suo potenziale in un’ottica di transizione e sviluppo sostenibile.

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Il Colonialismo Energetico .. For Dummies

Chiunque creda nella necessità di una transizione ecologica ed energetica in particolare, non può evitare di capire fino in fondo, quanto il Colonialismo Energetico, sia la caratteristica chiave, del nostro Sistema Energetico e Produttivo, che rende ogni tentativo di “aggiornarlo” tecnologicamente, in senso ambientalista, un esercizio utile solo a sviluppare nuovi business.

In questa breve sintesi c’è gran parte dei temi su cui bisogna confrontarsi, prima di lanciarsi a spada tratta, in nome dell’ ambiente, a proporre fonti energetiche miracolose, come solare e eolico o per contrapposizione, la fonte definitiva nucleare.

Queste poche righe che seguono, ci dicono chiaramente, che già scegliere il luogo in cui realizzare un impianto di fonti rinnovabili, cambia completamente il possibile risultato.

Tra li effetti collaterali, del Colonialismo Energetico, vi è anche la distorsione tecnica e normativa del nostro Sistema Elettrico, post Enel(Ente Nazionale per l’Energia Elettrica). Oltre a mantenere “efficiente” , una distribuzione anomala dei consumi, che qualunque tecnico sa essere nemica dell’efficienza energetica, il nostro Sistema Elettrico è stato dotato di norme, tecniche e commerciali, ha garanzia della redditività, delle Società “private”, che hanno ereditato impianti e funzioni, dell’ente pubblico. Impianti che vale la pena ricordare, realizzati con il 20% del nostro debito pubblico e successivamente con una quota di denaro delle bollette .

Non avendo definito, nonostante gli altisonanti proclami dei “Professionisti dell’ Ambientalismo”, un diverso modello di Sistema Energetico e Produttivo, in cui inserire le rinnovabili, ne tanto meno il PNIEC ha tenuto conto , dell’impatto della collocazione geografica, sugli aspetti tecnici, con i conseguenti “costi nascosti”, su cui Terna SpA ha sviluppato il suo Piano Industriale da oltre 20 miliardi, oggi chi si oppone, non alla tecnologia, ma alla specifica realizzazione degli impianti “sponsorizzati”, dai mutamenti climatici e altri fenomeni ambientali, viene tacciato di essere un “nemico” del futuro.

Fare chiarezza su cosa si sta realmente facendo, è un dovere verso  le “vittime”. Non sono solo  le Regioni del Sud, a fare le spese  di questa  strategia , perché anche il  Nord,  paga  per l’alta concentrazione  di attività produttive , che   alimenta flussi migratori , interni ed esterni,  così come l’imprenditoria sana del paese, paga in bolletta  gli oneri  per l’inefficienza  del sistema elettrico. Sollevare  la cortina fumogena “ambientalista”  per riprendere  il controllo di un processo, di ristrutturazione  favorevole al Sistema Paese.


Il colonialismo energetico tra le regioni italiane si riferisce a una dinamica iniqua in cui alcune regioni, tipicamente quelle del Sud Italia e le isole (come la Sardegna e la Sicilia), sono utilizzate come “zone di sacrificio” per la produzione di energia (spesso da fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico), mentre i benefici economici e l’energia prodotta vengono prevalentemente destinati ad altre regioni o a grandi centri di consumo, lasciando alle comunità locali solo gli impatti ambientali e sociali negativi.

Questo fenomeno riprende in chiave moderna logiche già note del colonialismo, dove le risorse di un territorio vengono sfruttate a beneficio di un altro, a discapito delle popolazioni e dell’ambiente locale.

Ecco alcuni aspetti chiave del colonialismo energetico in Italia:

· Sfruttamento delle risorse e Land Grabbing: Vaste aree di territorio, spesso agricole o di pregio paesaggistico, vengono destinate all’installazione di impianti eolici e fotovoltaici di grandi dimensioni. Questo accaparramento di terre (land grabbing) può limitare l’uso del suolo per altre attività (agricoltura, allevamento, turismo) e alterare l’ecosistema locale.

· Impatto ambientale e paesaggistico: L’installazione di mega-impianti può avere un impatto significativo sul paesaggio, sulla biodiversità e sull’ambiente locale, con ripercussioni sulla qualità della vita delle comunità.

· Mancanza di benefici per le comunità locali: Spesso, le popolazioni residenti nelle aree dove si produce energia non ne beneficiano in modo significativo, né in termini di riduzione dei costi energetici né in termini di sviluppo economico locale. I profitti generati vengono veicolati altrove, verso le aziende e i consumatori delle regioni più ricche.

· Disparità nella distribuzione degli oneri: Le regioni del Sud e le isole, pur avendo un potenziale elevato per le energie rinnovabili, si trovano a dover sopportare la quasi totalità degli impianti, mentre le regioni del Nord, che hanno un maggiore fabbisogno energetico, contribuiscono in misura minore alla produzione diretta sul loro territorio.

· Scarsa partecipazione e democrazia energetica: Le decisioni relative all’ubicazione e alla tipologia degli impianti vengono spesso prese a livello centrale o da grandi player energetici, senza un’adeguata consultazione e coinvolgimento delle comunità locali, che si trovano di fronte a progetti “calati dall’alto”.

Esempi emblematici:

La Sardegna è spesso citata come caso paradigmatico di colonialismo energetico. L’isola, con il suo elevato potenziale eolico e solare, è oggetto di un’enorme quantità di proposte per la costruzione di nuovi impianti, spesso con potenze di gran lunga superiori al fabbisogno energetico regionale. Molti di questi progetti sono finalizzati all’esportazione dell’energia prodotta verso la penisola, lasciando alla Sardegna il peso ambientale e paesaggistico. Analoghe dinamiche si riscontrano in altre regioni del Sud come la Puglia, la Calabria e la Sicilia.

Come contrastare il colonialismo energetico:

Per contrastare questo fenomeno, è necessario promuovere un modello di giustizia energetica e democrazia energetica, che preveda:

· Pianificazione partecipata: Coinvolgimento delle comunità locali nella definizione delle politiche energetiche e nella scelta dei luoghi per gli impianti.

· Benefici per il territorio: Meccanismi che assicurino che le comunità che ospitano gli impianti traggano effettivi benefici economici e sociali, ad esempio attraverso tariffe agevolate o investimenti diretti sul territorio.

· Comunità energetiche rinnovabili (CER): Favorire lo sviluppo di piccole e medie comunità energetiche, in cui la produzione, il consumo e la gestione dell’energia siano nelle mani dei cittadini e delle imprese locali, promuovendo l’autoconsumo e la condivisione dell’energia. (ndr. Cosa ostacolata dalla normativa vigente)

· Distribuire gli oneri: Una più equa distribuzione degli oneri di produzione energetica tra tutte le regioni, basata sul reale fabbisogno e sulle capacità di assorbimento del territorio, evitando la concentrazione in poche aree.

· Sviluppo sostenibile e compatibile: Privilegiare progetti che abbiano un impatto ambientale e paesaggistico minimo e che siano integrati con le vocazioni economiche e culturali del territorio.

· Legislazione adeguata: Normative che tengano conto della giustizia sociale e ambientale, con un focus sulla tutela del territorio e dei diritti delle comunità.

In sintesi, il colonialismo energetico tra le regioni italiane è una sfida complessa che richiede un cambio di paradigma verso una transizione energetica più giusta, equa e partecipata.

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Il futuro è il nostro presente

Finalmente è Lunedì
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